12.1.09

la tregua

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RITORNO ALLE MACERIE......





Ban-ki-Moon entra nella Striscia, è polemica
Gaza, regge la tregua

Sembra reggere la tregua nella Striscia di Gaza (se si fa eccezione per qualche isolato incidente) mentre prosegue il ritiro graduale delle truppe israeliane che potrebbe essere completato con l'ingresso alla Casa Bianca di Barack Obama o poco dopo.
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La tregua tiene, ora è guerra di parole
Il merito della tregua all'Egitto sperando in «Annapolis Due»

Gaza, cessate-il-fuoco di Hamas

L'esercito israeliano lascia avamposti

Olmert: cessate il fuoco, obiettivi raggiunti


Israele: ora tregua.
Hamas rifiuta
Sul posto sono da registrare sentimenti di sgomento e di ira per le reazioni del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon davanti alle rovine causate dalle forze armate israeliane nella Striscia di Gaza.


Ban Ki-moon, che è stato il primo alto esponente della comunità internazionale a entrarvi dalla presa del potere con la forza del movimento islamico radicale Hamas, ha voluto constatare l'entità dei danni subiti dalla popolazione locale e ha visitato gli impianti dell'Unrwa, l'agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi.

Ma questo raid ricognitivo non è piaciuto nei circoli di governo israeliani perché è avvenuto mentre Gaza è ancora sotto il governo di Hamas, nei cui confronti è in atto un isolamento internazionale.

Hamas respinge le condizioni poste dal Quartetto per l'apertura di un dialogo: rinuncia alla violenza, riconoscimento di Israele e degli accordi con questo conclusi dai palestinesi.

Il segretario generale si è lungo soffermato davanti a una scuola dell'Onu che durante i combattimenti è stata colpita da proiettili israeliani che vi hanno provocato una strage.

E non ha certo taciuto:
«I responsabili dei bombardamenti contro gli edifici dell'Onu a Gaza dovranno renderne conto».
Ban ha, quindi, affermato che è necessaria «un'inchiesta approfondita» e «una spiegazione completa» sugli episodi più gravi, affinché essi «non si ripetano mai più» in nessuna parte del mondo.


Peraltro, Ban Ki-moon ha anche espresso una dura condanna degli indiscriminati lanci di razzi dei miliziani palestinesi di Hamas contro la popolazione civile israeliana nel sud, dove ha visitato la città di Sderot, definendoli «spaventosi e intollerabili» e in violazione delle fondamentali leggi umanitarie.

Secondo le autorità di Gaza durante i bombardamenti della Operazione Piombo Fuso sono andate completamente distrutte 5.000 case, nonché 20 moschee e 16 edifici ministeriali.

Altre 20mila abitazioni risultano essere danneggiate.
Il premier israeliano Ehud Olmert ha attribuito la responsabilità dei danni ad Hamas.

«Proprio Hamas - ha detto Olmert a Frattini - ha la piena responsabilità di quelle distruzioni e dei danni inferti agli innocenti».

Dal canto suo, Ban ha insistito sulla necessità di porre fine alle divisioni tra i palestinesi e ha esortato Al Fatah e Hamas - le due principali organizzazioni palestinesi tra loro nemiche - «a riunirsi in seno alla legittima Autorità palestinese».

Il premier Olmert, che ieri mattina ha ricevuto, il segretario generale, ha ribadito che lo sforzo internazionale di ricostruzione di Gaza dovrà essere attuato in modo da evitare che Hamas ne possa ricavare la benché minima legittimità.

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DA PANORAMA

Quanto reggerà la fragile tregua a Gaza?
È la domanda che gli stessi protagonisti delle ultime tre settimane della crisi mediorientale si fanno, dal premier israeliano Ehud Olmert, ai vertici di Hamas, dal presidente egiziano Hosni Mubarak ai governanti europei che hanno partecipato al vertice di Sharm el Sheikh – Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi, in prima fila; da Barack Obama al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon.

Dopo che sabato il governo israeliano aveva annunciato un cessate il fuoco unilaterale e dopo che, ieri , Hamas aveva risposto con un la decisione di dichiarare una tregua (di una settimana e condizionata la ritiro delle truppe israeliane), le prime formazioni dell’esercito con la Stella di David hanno iniziato a lasciare la Striscia.
Ma usciranno tutti i soldati?
E in quanto tempo? Il primo ministro Olmert, nella conferenza stampa del summit egiziano si è limitato a dichiarare che “se il cessate il fuoco si rivelerà stabile, Israele abbandonerà Gaza perché non ha mai avuto intenzione di riconquistarla”. Cosa significa?
Che il ritiro sarà parziale per ora e totale solo dopo che Gerusalemme avra`avuto la ragionevole certezza che Hamas non lancerà più razzi Qassam sul sud di Israele, dice a Panorama.it Herb Keinon, firma di punta del Jerusalem Post, uno dei quotidiani israeliani più prestigiosi. “Abbiamo lasciato la Striscia nel 2005 e non ci interessa ora rimanerci più del necessario. Dipenderà da Hamas. Se ci attaccherà ancora, è possibile che il nostro esercito riprenda le operazioni militari. Quindi penso che per i prossimi giorni, i nostri carri armati rimangano all’interno di Gaza, in alcune zone, come deterrente nei confronti del lancio di razzi”.

La strategia del governo di Ehud Olmert è piuttosto chiara.
Dopo 22 giorni di bombardamenti, dopo più di 1000 morti palestinesi, dopo tre settimane di stillicidio quotidiano per gli abitanti delle città della parte meridionale di Israele, dopo le pressioni internazionali per un cessate il fuoco e in vista dell’insediamento di Barack Obama, l’esecutivo israeliano, con il supporto delle analisi dei servizi di intelligence, ha ritenuto di aver raggiunto gran parte degli obiettivi che si era dato prima di lanciare l’Operazione Piombo Fuso e ha deciso di fermare l’offensiva, lasciando però i suoi soldati dentro la Striscia, in modo da poterla riprendere immediatamente nel caso in cui fosse necessario. I tanks rimarranno in alcune aree per convincere i miliziani di Hamas che per loro sarebbe controproducente continuare a bombardare il Negev.

“Secondo le mie informazioni, il braccio armato del partito fondamentalista ha subito un durissimo colpo dall’offensiva delle nostre forze di sicurezza. La durata del cessate il fuoco, ripeto, dipenderà da loro” afferma Herb Keinon.
“Il nostro governo ha ottenuto degli importanti risultati con l’Operazione Piombo Fuso.
Forse non è riuscito a eliminare al 100% il pericolo rappresentato dai Qassam, ma la situazione è sicuramente migliore rispetto al passato.
E poi, a mio parere, è riuscito ad avere un appoggio internazionale contro Hamas che prima, forse, mancava”.

Il cessate il fuoco, se verra`mantenuto, sarà il primo passo verso una soluzione complessiva della crisi.
Che potrebbe passare anche attraverso il dispiegamento di una forza internazionale di pace ai confini tra Gaza e l’Egitto. Silvio Berlusconi ha già dato la disponibilità dei carabinieri italiani. Ma, per ora, questo scenario appare ancora lontano. “

Per Israele, va bene, ma Hamas è sempre stata contraria” dice l’analista del Jerusalem Post. Il quale conosce molto bene le dinamiche interne all’esecutivo israeliano.
Da tempo, Keinon ha l’incarico di seguire Tzipi Livini.
È stato lui a scrivere nei giorni scorsi delle divisioni tra, da una parte Olmert e dall’altra del suo ministro degli esteri, accanto al quale si è schierato il titolare della difesa, il leader laburista Ehud Barak.
“Si c’erano e vertevano sulla durata dell’operazione. La Livni avrebbe voluto concluderla prima, Olmert ha voluto andare avanti ancora qualche giorno.
Ma adesso, queste tensioni sono state superate dopo la dichiarazione di tregua unilaterale”.
Solo i prossimi giorni e le prossime mosse dei protagonisti ci diranno quanto reggerà il cessate il fuoco.




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La nostra missione porta casse di medicine Il ministro Frattini preleva 9 bambini malati
ANTONELLA RAMPINO
VALICO DI SHALOM (GAZA)
Orizzonte lungo, scivolando giù da Gerusalemme lungo la statale 232, verso Be’er Sheva. Frutteti, agrumeti a perdita d’occhio, lievi verdi declivi punteggiati di cipressi, «paesaggio per te familiare, eh!» dice il ministro israeliano Herzog al governatore della Toscana Martini, che è qui con Frattini per portare in ospedale, in Italia, 9 bambini palestinesi.
Poi, al bivio per la Striscia di Gaza, qualcosa cambia. Sotto i salici, a destra un nugolo di carrarmati, a sinistra le postazioni dei network di tutto il mondo, Cnn, Cbs, Al Jazeera, soprattutto. Pronti a rientrare in azione, gli uni e gli altri. Più avanti, a solo qualche chilometro dal valico di Kerem Shalom, sono accampati i militari israeliani.
E altri carrarmati, un centinaio almeno. Bisogna cambiare strada, e puntare su Tel-Aviv come facciamo al ritorno, per vedere tir che riportano a casa qualche carrarmato, e riservisti che aspettano l’autobus, trascinando i loro trolley.

La guerra non è ancora proprio finita, spiega Isak Herzog che è ministro del Welfare e membro del gabinetto di crisi, e il ritiro dei carrarmati procede «slowly», lentamente, «non sappiamo quanto tempo ci vorrà, soprattutto se l’Iran continua a voler riarmare Hamas». A Franco Frattini, il ministro italiano che sta compiendo nell’intera regione una visita-lampo che guarda lontano, a una conferenza per la ricostruzione della Palestina da convocarsi in Egitto e per la quale ha già ottenuto il via-libera israeliano, Olmert ha detto «vorrei che i nostri si ritirassero il prima possibile». Nessuno osa sperare così tanto: sulla 232, sotto il valico di Kerem, si odono forti tre colpi di mortaio in successione, è Hamas che «opera» i suoi lanci in direzione di Sderot. E’ l’accoglienza riservata, per così dire, alla delegazione italiana, che porta quattro tir di medicine (l’ossigeno non è italiano, però, la Cooperazione l’ha dovuto ricomprare a Tel Aviv) e altri generi di prima necessità, compresi generatori elettrici.
Kerem Shalom è il posto dove fu rapito, il 25 giugno del 2006, il soldato Shalit, e la sua liberazione è una delle condizioni che Tzipi Livni ha posto ieri per una tregua duratura. Kerem Shalom è l’unico valico che Israele ha sempre tenuto aperto, e per provarlo il ministero della Difesa ha puntato due telecamere, e le ha messe in rete (www.mod.gov.il/pages/general/Maavar_Kerem_Shalom.asp).

Ad aspettare, in fila, una quarantina di camion. Materassi, latte, riso, patate, frumento, coperte, kit medici di prima necessità. Ne fanno passare, giura il comandante Ami, berretto blu e lunga coda brizzolata, un figlio perso nella Striscia di Hamas in fiamme già nel 2006, 100-150 al giorno.
Funziona così: i camion passano i controlli al check-point, vengono parcheggiati e ricontrollati, anche con i cani lupo anti-esplosivo. Poi si apre il portone di ferro nell’alto muro di cemento armato. Lì si entra in zona a controllo militare e si scarica la merce, in un hangar blindato, una sorta di camera di compensazione. Gli israeliani ricontrollano tutto il carico.
Poi, una porta si chiude e un’altra si apre, quella dei palestinesi. Tutto viene preso in consegna dall’ Unrwa, l’agenzia dell’Onu appositamente costituita da una risoluzione del 1949 e che serve proprio per distribuire gli aiuti, anche finanziari, ai palestinesi.
«Noi non diamo nulla ad Hamas, non è ad Hamas che sono destinati gli aiuti», dice chiaro il nostro ministro degli Esteri. Ma il punto è che è Hamas che controlla Gaza e tutta la Striscia.

«E di là, dietro quel muro blindato, ci sono i palestinesi», dice il capitano Neccioni, uno dei quattro carabinieri della missione Eubam, ancora insediata a Ashkelon, inattiva da quando Hamas ha preso Gaza, e che oggi si vorrebbe riattivare per riaprire un altro valico, quello di Rafah, quello destinato al passaggio delle persone e non delle merci.
Una missione sempre possibile, anche se le condizioni politiche rendono l’impresa sempre più ardua. Basti pensare che c’è voluto Ban-Ki-moon perché il valico nord, quello di Erez, venisse riaperto, e solo per la delegazione Onu.
«Anche i 9 bambini che verranno ricoverati in ospedale in Italia, in Toscana, sono passati di lì», dice Elisabetta Belloni della cooperazione italiana.

Ma la trattativa con gli israeliani è stata molto difficile, e hanno accettato solo perchè non si trattava di bambini feriti nella guerra, ma di piccoli malati terminali.