Nel 1995 il vice presidente della Banca Mondiale ha fatto una previsione sulle guerre del futuro:
"Se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo avranno come oggetto del contendere l'acqua".
In Medio Oriente, lungo il Nilo, in tutta l'Africa, in Asia, in India, in America Latina e perfino negli Stati Uniti sono in corso attualmente oltre 50 conflitti fra stati proprio per cause legate all'acqua.
La scienziata indiana Vandana Shiva ne ha parlato in un suo libro: "Le guerre dell'acqua".
Molti dei conflitti incentrati sulle risorse, come l'acqua, vengono nascosti, vengono camuffati: chi controlla il potere preferisce far passare le guerre per l'acqua o per l'accaparramento di materie prime come petrolio, oro, diamanti... come fossero conflitti etnici, tribali, religiosi, conflitti per la sicurezza contro il terrorismo...!
Il più "emblematico" di questi conflitti è quello tra israeliani e palestinesi: uno scontro basato proprio sul possesso delle risorse naturali: la terra e l'acqua.
Certamente la "guerra dell'acqua" in questo caso è la conseguenza e non la causa della contesa tra Israele e la Palestina.
Israele infatti riceve due terzi della sua acqua da territori che ha conquistato con la "guerra dei sei giorni" nel 1967.
Le colonie israeliane insediate in questi Territori occupati sono state posizionate in modo da controllare le sorgenti d'acqua: il risultato è che lì il consumo medio palestinese è di circa 150 mc pro capite all'anno, mentre quello dei coloni israeliani arriva fino a 800 mc.
Non è un caso se in Israele l'acqua dipende dal Ministero dell'Agricoltura, in Palestina dal Ministero Israeliano della Difesa.
Nel maggio 2005 a Ramallah, in Palestina, si è tenuto un convegno internazionale sul tema del diritto all'acqua.
Il filosofo del diritto Danilo Zolo, presente al convegno, ha così spiegato il problema dell'acqua:
"L'aggressione israeliana al diritto del popolo palestinese a usare le proprie risorse idriche è uno degli strumenti più efficaci di oppressione politica e di discriminazione sociale.
Valori quali la vita, la sicurezza sociale, la salute sono gravemente minacciati dall'imponente prelievo che Israele fa delle risorse idriche palestinesi e dalle pesanti limitazioni imposte alla popolazione palestinese.
Le restrizioni sono state decise con ordinanze militari che hanno proibito ai palestinesi di costruire o possedere un impianto idrico senza un permesso dell'autorità militare israeliana.
Sono state inoltre fissate delle quote di prelievo, sono stati espropriati pozzi e sorgenti di palestinesi assenti., mentre la fatturazione dell'acqua penalizza la popolazione palestinese, il cui tenore di vita è largamente inferiore a quello dei cittadini israeliani. Complessivamente l'85% dell'acqua palestinese oggi viene usata dagli israeliani.
Il conflitto per l'acqua è solo un aspetto, anche se tra i più rilevanti, del conflitto per la liberazione della Palestina.
Non si risolve il problema dell'acqua se non si risolve, assieme, quello della costituzione di uno Stato palestinese, della sua piena indipendenza".
Conflitti meno intricati hanno riguardato anche altre regioni del pianeta.
Da molti anni persiste una grande tensione tra Turchia - da un lato - e Iran, Iraq e Siria - dall'altro - per quanto riguarda i bacini del Tigri e dell'Eufrate, in quella terra che conosciamo come la "Mesopotamia", la culla della civiltà...
A innescarla è stata la decisione della Turchia di promuovere "il Grande Progetto Anatolico", costruendo un sistema di dighe per potenziare l'irrigazione e produrre energia elettrica.
Questo progetto mette nelle mani della Turchia un grande potere: quello di "chiudere i rubinetti" tenendo di fatto in ostaggio Siria e Iraq affinché non intervengano sulla questione curda.
Inoltre l'invio dell'esercito in quelle zone, con la scusa di proteggere i cantieri, serve a controllare militarmente le terre abitate proprio dai curdi.
Le dighe, rappresentano da sempre una delle forme più simboliche del dominio tecnologico dell'uomo sulla natura.
Non solo sono motivo di conflitto tra Stati, ma anche all'interno di uno stesso Stato.
Nel mondo ci sono attualmente 19.000 dighe di oltre 30 metri di altezza, 45.000 se si considera un'altezza fino a 15 metri.
Ma la natura e la storia hanno anche dimostrato, a volte in modo drammatico, la fragilità e i limiti di queste grandi opere, così che le dighe sono oggi classificate come "grandi rischi tecnologici", al pari di una centrale nucleare o di un'industria chimica pericolosa.
Mentre si esaltano gli aspetti di "grandiosità" di tali opere, solitamente vengono sottaciuti i costi finanziari, sociali ed ecologici.
Per questo sono nati in questi anni movimenti di opposizione alla costruzione dei grandi progetti:
in India sono riusciti a fermare la realizzazione del progetto della valle di Narmada, finanziata dalla Banca Mondiale, che prevede 30 grandi dighe, 135 medie e 3.000 piccole dighe lungo il fiume Narmada e i suoi affluenti.
In India la costruzione di grandi dighe ha già portato al trasferimento di circa 50 milioni di persone.
(I movimenti di opposizione alla costruzione di "grandi dighe", sono riusciti a bloccare la costruzione della diga)
In Cina, addirittura, 10 milioni di residenti sono stati costretti a evacuare per una sola diga: quella delle Tre Gole nella valle dello Yangtze.
Secondo la geografa italiana Teresa Isenburg il progetto delle Tre Gole è di un gigantismo senza paragoni: la diga avrà l'altezza di 185 metri, la lunghezza di due km e creerà un bacino d'acqua di 64.000 kmq, quasi tre volte il Piemonte.
Un'opera davvero faraonica! (E' stata inaugurata il 20 maggio 2006)
La Commissione mondiale sulle dighe ha riconosciuto che troppo spesso "è stato pagato un prezzo inaccettabile dalle popolazioni evacuate, dalle comunità che vivono a fondovalle con l'incubo delle dighe, dai contribuenti e dall'ambiente naturale. Arundhati Roy, scrittrice indiana di fama internazionale, ha denunciato così questa situazione:
"Le grandi dighe sono per lo sviluppo di una nazione quello che le bombe nucleari sono per il suo arsenale militare.
Entrambe sono armi di distruzione di massa.
Entrambe sono strumenti che i governi usano per controllare il proprio popolo.
Entrambe sono emblemi dell'intelligenza umana che ha scavalcato il proprio istinto di sopravvivenza.
Entrambe sono maligne indicazioni di una civiltà che si rivolta contro se stessa.
Rappresentano la rottura del legame tra gli esseri umani e il pianeta in cui vivono.
Sconvolgono la logica che connette le uova alle galline, il latte alle vacche, l'acqua ai fiumi, l'aria alla vita e la terra all'esistenza"
Di fatto le grandi dighe favoriscono le multinazionali sia nella fase di costruzione sia nella fase di gestione sia infine nel godimento dei benefici, perché la drastica modernizzazione dell'agricoltura locale manda in malora milioni di piccoli contadini che lavorano ancora con metodi tradizionali, facendoli affluire disperati nelle periferie urbane dove vivono in miseria.
I prodotti agricoli così ottenuti vengono esportati, mentre l'agricoltura di sussistenza viene spazzata via, e le vite di milioni di persone diventano in breve tempo delle "vite a perdere".
Vandana Shiva nell'introduzione al suo libro Le guerre dell'acqua, ha stigmatizzato con parole di fuoco, questo sistema di sfruttamento globalizzato:
"La sottrazione forzata di risorse alla popolazione è una forma di terrorismo - terrorismo d'impresa.
I 50 milioni di indiani sfollati dalle loro case inondate dalle dighe nel corso degli ultimi quarant'anni sono anch'essi vittime del terrorismo - hanno subito il terrore della tecnologia e dello sviluppo distruttivo.
Distruggere le risorse idriche e i bacini forestali e acquiferi è una forma di terrorismo. Negare ai poveri l'accesso all'acqua privatizzandone la distribuzione o inquinando pozzi e fiumi è anche questo terrorismo.
I terroristi non sono solo quelli che si rifugiano nelle caverne dell'Afganistan; alcuni si nascondono nelle sale dei consigli di amministrazione delle multinazionali, dietro le norme sul libero mercato imposte dall'Organizzazione mondiale del commercio, che negano a milioni di persone il diritto a una sussistenza sostenibile.
L'avidità e l'appropriazione delle preziose risorse del pianeta che appartengono ad altri sono alla radice dei conflitti e alla radice del terrorismo.
Lo stile di vita del 20% della popolazione mondiale che usa l'80% delle risorse del pianeta espropria di fatto il restante 80% della sua equa porzione di risorse e finirà per distruggere il pianeta.
Non possiamo sopravvivere come specie se l'avidità è privilegiata e se l'economia degli avidi stabilisce le regole su come vivere e morire"
Fonte: lettura scenica di Ercole Ongaro e Fabrizio De Giovanni "H2ORO" 2007